Vin Santo, delizia degli ospiti

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Blog Sapori 1832

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“Gradite un goccio di Vin Santo?”
Era la frase di rito con cui gli anziani abitanti del senese accoglievano gli ospiti.
Non è solo un modo di dire perché il Vin Santo, prodotto assai pregiato, si offre a piccole dosi e va gustato lentamente.
Uno dei gesti più antichi dell’ospitalità toscana che rimane vivo ancora oggi, ricordo di quando ogni famiglia produceva questo vino secondo la propria ricetta segreta.

31-Agosto-Intramezzo

Per realizzarlo vengono utilizzate uve di Trebbiano e Malvasia, a volte anche quelle di Sangiovese ma in questo caso si parla di Vin Santo Occhio di Pernice.
Si raccolgono i migliori grappoli (vendemmia “per scelti”) e vengono lasciati appassire su stuoie o appesi a ganci. Una volta appassite le uve vengono pigiate e il mosto viene messo in caratelli, piccole botti, di legni e dimensioni variabili da cui doveva essere stato appena tolto il Vin Santo della produzione precedente.
In questo travaso si faceva particolare attenzione affinché la feccia, e cioè i residui della precedente annata, non uscisse dalla botte perché si considerava importantissima per la buona riuscita del nuovo vino tanto che veniva chiamata madre del Vin Santo.
Si pensava che tre anni fossero sufficienti per far fermentare e invecchiare questo vino; in realtà alcuni produttori preferiscono lasciarlo in invecchiamento anche per più di dieci anni.

Al temine di questi ne risulta un vino di colore ambrato più o meno carico.
Per le sue caratteristiche organolettiche viene abbinato, quando si presenta in forma secca, a formaggi erborinati e crostini neri di fegato e ai dessert nella sua versione dolce.
Famosissimo il suo abbinamento con i Cantuccini che vengono ammorbiditi nel vino e la combinazione esalta i sapori di entrambi, mandorle e uve appassite.